Questa storia è la storia di una Villa, ma non certo di una Villa qualunque. Bisogna iniziare con il dire che
è una Villa divisa a metà da una delle strade più brutte della città eterna. Una divisione così netta e
indiscutibile che, ad un occhio non attento, potrebbero sembrare due Ville differenti, ed è così che le
tratteremo, perché spesso l’apparenza è ritenuta l’unica verità esistente.
Zona Nord
Questa storia è la storia della Zona Nord di una Villa e della PiccolElena che una bella mattina decise che
si sentiva pronta e matura per andarci a giocare.
La Zona Nord si presentava pulita e ordinata, ogni cosa era al suo posto, il prato era tosato, il viale era
alberato, il corridore correva e il vecchio leggeva. PiccolElena sapeva perfettamente quale era il suo
obiettivo e le si presentava ora chiaro come il sole davanti a lei, non una pietra ad intralciarle la strada, non
una foglia ad oscurarle la meta. Ed eccole lì le altalene. Si era esercitata molto a casa e aveva letto molti
libri sull’argomento. Conosceva perfettamente ogni componente di cui erano formate: il legno, l’acciaio o
in alternativa la plastica. Conosceva le leggi fisiche che ne permettono il moto, la spinta e l’attrito per
fermarla. Ne scelse una e si diresse verso di lei. Pronta finalmente a sedersi, ma prima avrebbe dovuto
aspettare che il signore scendesse e allora gentilmente glielo chiese:
«Salve, mi chiamo Picco…».
«No!».
«Scusi?».
«So perfettamente cosa vuole».
«Ma io non mi sono nemmeno presentata!».
«Non è importante la mia risposta è no! Questa è la mia altalena, ci sto sopra da quando avevo diciotto
anni e so meglio di chiunque altro cosa si deve fare per farla funzionare».
«Ma io mi sono esercitata molto e le posso garantire di conoscere ogni cosa delle altalene…».
«Non certo quanto me! E poi con che diritto vieni qui? Io ci sto seduto da settant’anni!».
«E non le sembra arrivato il momento di scendere?».
«No! Questa altalena è tutta la mia vita, non ho visto altro che questo, se scendo non avrò più un obiettivo
e mi consumerò e spegnerò piano piano in una lunga e pesante agonia».
Allora la PiccolElena capì tutto e non ebbe più alcun dubbio: quella non era la sua altalena.
La seconda altalena era simile a quella precedente, compreso un signore seduto sopra.
«Salve mi chiamo Piccol…».
«No!».
«Ma è incredibile! Non mi ha nemmeno fatto presentare, come può dirmi di no se non sa cosa voglio
chiederle?».
«E allora sentiamo».
E la PiccolElena spiegò al vecchio signore che aveva studiato tanto, che sapeva tutto sulle altalene e che
era pronta a dargli il cambio. L’astuto signore allora le disse che poteva lasciarle l’altalena solo se prima
avesse dimostrato le sue capacità con un po’ di pratica. La PiccolElena speranzosa iniziò a impegnarsi con
tutte le sue forze, tolse da terra le foglie secche che potevano ostacolare la spinta, mise l’olio alle catene
per evitare il cigolio durante l’oscillazione e spinse il signore per agevolargli il compito ma il signore, che
tanto gentilmente le aveva dato questa opportunità e nel quale la PiccolElena riponeva tutta la sua fiducia,
tardava a scendere. Passarono i giorni e i mesi e nulla cambiò. Fino a quando la PiccolElena capì tutto e
non ebbe più alcun dubbio: quella non era la sua altalena.
La terza altalena era molto bella, una delle più belle, c’erano fiori incastonati tra le catene e sul legno vi era
un cuscino ricoperto da morbido velluto per rendere il gioco più confortevole. Era perfetta! L’altalena che
tutti desideravano. Infatti per poterci salire c’era una fila lunghissima.
«Sei l’ultima della fila?».
«Sì, sto aspettando da dieci anni…».
«Dieci anni? Ma allora che speranza ho io? E perché tu non sei andata a cercartene un’altra?».
«Ho dedicato tutta la mia vita per poter un giorno salire su quell’altalena e ci riuscirò! Non vedo
alternative, se mi lasciassi andare proprio ora mi sentirei una fallita, non avrei rispetto di me con tutti i
sacrifici che ho fatto».
Proprio in quell’istante arrivò una giovane ragazza, passò avanti a tutti e parlò con la signora che stava
seduta in quel momento sull’altalena. Si salutarono come grandi amiche e le lasciò il suo posto. Allora la
PiccolElena capì tutto e non ebbe più alcun dubbio: quella non era la sua altalena.
La PiccolElena si sentiva ormai senza speranze, inerme e impotente. Era confusa, non capiva il motivo per
il quale non la lasciassero salire o almeno provare. Avrebbe anche potuto accettare il rifiuto. Magari non
ne era capace ma come faceva a saperlo? E soprattutto come facevano loro a saperlo?

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