«Signorina adesso le girerà un po’ la testa, poi si addormenterà».
Silenzio. Fino alla fine si spera sempre che qualcosa cambi, che come i film e le favole più belle, arrivi
qualcuno a salvarti da te stessa. E tu aspetti, sperando, fino all’ultimo.
«Ma io sono ancora sveglia».
E non venne nessuno. Sola nel Silenzio… Non un urlo, non un pianto, non una risata.
Risa.
Il Piccolo Mujo, come ogni sabato mattina, si avviava verso la fermata della metro “Arco di Travertino”. Il
nauseabondo e caratteristico odore della metropolitana, misto di lercio e birra, aveva impregnato i suoi
vestiti e l’involucro del suo violino. Il violino aveva sempre rappresentato la sua evasione, il suo sentirsi
un po’ diverso e un po’ speciale rispetto agli altri bambini della sua età. E allora suonava come un
equilibrista, occhi e pensieri chiusi, piede sinistro su un vagone e piede destro sull’altro, recitando le solite
tre frasi da preludio. Finita la canzone passava a raccolta del suo scarso compenso, ricco di misericordia.
«Hi, boy» e un diverso suono riecheggiò nel bicchiere del MacDonald’s, un suono sordo: una moneta
americana. Mujo allora aprì i pensieri, si fermò e prese in mano la monetina. Con quella non poteva farci
proprio niente. Si voltò verso il ragazzo canadese che, visibilmente imbarazzato, gli propose uno scambio
di valuta, questa volta con un comunissimo euro. Mujo rise. Rise come farebbe un bambino, rise per
riprendersi l’infanzia e se ne andò.
Urla.
Sara era ferma sul suo scalino mobile. Un misto di lercio e birra usciva da tutte le mura della
metropolitana. Puzza nauseabonda unita a quella delle mandrie umane che ogni giorno pascolavano alla
Stazione Termini. Era vestita di niente ma coperta di vergogna.
Pensò a quel film a cui tutti si rifanno quando hanno dei rimpianti, pensò a come sarebbe andata se… se
avesse conosciuto suo padre e si fosse preso cura di lei, accettandola; se non avesse dovuto mantenere la
fronte di sua madre con tutte e due le manine, ancora troppo piccole per sostenere il peso della delusione;
se avesse preso un altro gradino, un’altra scala, quella che sale ed esce dalla metropolitana, non quella che
sprofonda nel vuoto; se si fosse messa quel preservativo o non avesse avuto bisogno di quei soldi extra; o
semplicemente se si fosse amata di più… la sua vita avrebbe preso tutto un altro verso. Decise di alzare gli
occhi incrociando altri occhi tristi e delusi. Pensò allora che il posto era quello giusto per disprezzarsi
ancora di più. Per un attimo e solo per un attimo percepì un suono che le entrò nel cuore. Una risata piena
di infanzia che la contaminò e la fece urlare. Urlò per riprendersi l’infanzia e se ne andò, si lasciò cadere
davanti a tutti. E cadde nel Silenzio.
Pianto.
John era stanco, non riusciva a trovare altro scopo nella vita se non viaggiare. Viaggiava per fuggire,
viaggiava per non farsi prendere, viaggiava per ricordare a se stesso che c’è sempre un’alternativa, una
scelta. Quest’ultimo viaggio però doveva avere un significato catartico, doveva liberarlo dagli incubi
dell’infanzia, dalla costrizione di quelle grandi mani su di lui. Avrebbe desiderato fuggire dall’istituto,
avrebbe desiderato poter trovare rifugio tra due calde braccia che avrebbero desiderato da lui solo amore e
non voluttà. Pensava che dopo il lungo calvario in giro per il mondo fosse pronto ad affrontare il suo
uomo nero a testa alta, ma quando la voce metallica della metropolitana avvertì “Ottaviano – San Pietro,
uscita lato sinistro”, non ebbe la forza di alzarsi dal suo posto. Non era pronto, era ancora troppo solo.
Chiuse gli occhi per combattere gli incubi che si volevano ripresentare nella sua realtà, cercando di
controllarli cullato da un dolce suono proveniente da chissà dove. Era quasi sicuro però che questa volta il
suono non era solo nella sua testa. Aperti gli occhi quel suono finì e un bicchiere del MacDonald’s gli si
presentò davanti bruscamente. John salutò l’artefice del movimento di quel bicchiere e ci mise dentro una
monetina trovata in fretta nella tasca. E fu allora che una risata piena d’infanzia gli entrò nel cuore e lo
squarciò in mille pezzi. Capì che non aveva più speranza, che non poteva più bloccare gli incubi nella sua
testa. E si arrese. Decise che potevano vincere loro, si potevano prendere la vita di John adulto. Tanto ne
aveva abbastanza e lui così poteva riprendersi quella mai vissuta, quella del John bambino. E finalmente
pianse, pianse per riprendersi l’infanzia. E lasciò che ogni lume andasse via, scivolasse dolcemente nel
Silenzio.
«Signorina si svegli! è andato tutto bene stia tranquilla, tra due ore può ritornare a casa».
Tranquilla non era la parola adatta. Dentro rabbia, dolore, vuoto. Nel vuoto due ore e una vita di silenzio.
«Deve solo firmare qui». Scesi in metropolitana e mi invase una puzza di lercio e birra. Lo scalino mobile
era vuoto, potevo scendere senza nessun ostacolo. La metropolitana passò e la presi al volo. Passai da un
vagone all’altro, il passaggio era vuoto, i posti erano vuoti. Non il rumore di un suono, di una risata, di un
urlo o di un pianto. Solo Silenzio e nel silenzio rumore assordante di pensieri. Non si potrà mai sapere se
si è fatta la scelta giusta. A volte, non conoscendo la risposta, ci si lascia trasportare dagli eventi nella vana
consolazione che forse, se non è accaduto nulla che lo impedisse, doveva andare proprio così. Ci sono
decisioni in cui si è soli ma si pensa che non si sarà mai costretti a prenderle, perché non può accadere
proprio a noi, e se anche così fosse sapremmo cosa fare. Quanto siamo disposti a sacrificare di noi stessi
per amore? Non c’è una scelta giusta o sbagliata, c’è solo una scelta, mi disse qualcuno nella mia testa, e
nel silenzio bisogna solo accettarla. Nel Silenzio il vuoto rimbomba sempre più forte, finché non si arriva
al capolinea e si deve solo capire se si vuole riprendere la metro per tornare indietro o se si vuole prendere
le scale che salgono all’uscita, dove ci sono due braccia che ti stringono forte per poter entrare nel tuo
vuoto che in due è già troppo pieno.

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